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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Renaud Garcia, Il deserto della critica

[Elèuthera, Milano 2016]

Uno dei libri più interessanti del panorama filosofi­co-politico contemporaneo è senza dubbio Il deser­to della critica di Renaud Garcia. Nell’arco di poco più di duecento pagine, l’autore ricostruisce con passione autentica lo sviluppo del pensiero deco­struzionista e della sinistra radicale, ne presenta i forti limiti, e offre prospettive per il futuro. I pilastri delle sue argomentazioni affondano nell’anarchi­smo storico (Bakunin, Kropotkin), raggiungono il pensiero critico di Orwell e Russell, Adorno e Horkheimer, attingono alle influenze esplicite di Go­odman, lllich, Gorz, Lasch, per approdare al pensie­ro della decrescita (Gorz, Latouche, Castoriadis). Nei cinque capitoli (più le conclusioni) di cui il libro si compone, l’autore affronta i temi del nostro rappor­to con la società dei consumi, con l’eredità dell’Illu­minismo, con l’idea di “comunanza” quale livello in­termedio fra particolare e universale, indagando le possibili resistenze al Sistema. Garcia sferra un at­tacco feroce a Foucault, Derrida e al femminismo radicale, dimostrando come numerose scuole di pensiero odierne, spesso appartenenti al radicali­smo di sinistra, si appoggino al pensiero decostru­zionista, ne sfruttino alcune intuizioni, ma solo per raggiungere vere e proprie aporie filosofiche. Nel momento in cui il decostruzionismo o il cosiddetto post-anarchismo esistenzialista assumono come grimaldello critico la distruzione di ogni essenziali­smo, finiscono – in realtà – per cancellare qualsiasi possibilità di critica. Se ogni entità socio-politica vie­ne collocata – in quanto subordinata al Potere – in un groviglio inestricabile, diviene sterile ogni riferi­mento a un sistema condiviso di valori e, dunque, fi­nisce per vanificarsi qualunque tentativo di ribellio­ne e di riscatto. Per questo motivo Garcia non ha paura di riproporre nel dibattito critico concetti co­me “natura”, “natura umana”, “valore”, “etica”, “so­cialità”, “condivisione”, termini che i foucaultiani re­spingono perché troppo implicati con le ideologie onnicomprensive del passato. Un esempio chiarificante riguarda l’atteggiamento nei confronti del lin­guaggio, disintegrato dai decostruzionisti fino al proprio annullamento. Distruggere la lingua comporta anche cancellare una verità condivisibile e comuni­cabile: «nel contesto attuale, mi sembra politicamente più importante lottare per conservare le vir­tù di un linguaggio che possa dire la realtà nel modo più chiaro possibile, piuttosto che accelerare la sua decomposizione, con il pretesto che c’è in germe, in ogni atto di abuso del linguaggio, il lampo di genio di un Artaud» (p. 78). Sfuggendo a ogni accusa di passatismo o, addirittura, di fascismo, Garcia rivendica un atteggiamento dialettico, in grado di recuperare il confronto storico con la realtà e con le sue devian­ze. L’accusa principale verso ogni decostruzionismo consiste, allora, nel rifiuto di accontentarsi di una battaglia di retroguardia e interstiziale, per aspirare o tentare di aspirare a una liberazione più alta e con­creta. Non si tratta di cancellare le norme perverse del capitalismo, ma di contestare il capitalismo in quanto tale, in nome di valori condivisi e utilizzando un linguaggio il più possibile chiaro ed efficace: «La critica dell’Illuminismo inaugurata dalle correnti del­ la decostruzione, e spesso ripetuta oggi tale e qua­ le negli ambienti intellettuali e militanti, rischia dun­que di lasciarci con meno strumenti per criticare l’ordine attuale delle cose di quanto suppongano i suoi fautori» (p. 96); o, in termini ancora più espliciti e polemici, «bollando il vernacolare come l’espres­sione museale di un mondo perduto e il pensiero di lllich come irrimediabilmente compromesso dalle sue ascendenze cristiane, molti di quelli che schie­randosi orgogliosamente sotto la bandiera della de­costruzione oggi rivendicano l’etichetta di “rivolu­zionario”, “radicale” o “libertario”, in sostanza non fanno che accelerare la sottomissione di ogni vita alla logica espansiva dell’economia e del controllo cibernetico» (p. 216). Reagire a questa deriva è l’uni­co gesto autentico per tutelare una partecipazione politica piena e condivisibile.

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